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Caduti dalla rete
Dove finiranno illusioni e
speranze affidate
ad internet a pochi giorni dal
Duemila
Miti che finiscono
A chi serve Internet
E a chi serve Baywatch
Rischi della
"sovraesposizione"

n. 33 - marzo 1998
di Romolo
Pranzetti
Vecchia, ventenne internet, quante illusioni fai rivivere tu! Certo, la
discussione sulla rete delle reti attrae pareri, opinioni, e a volte anche
pregiudizi espressi con estrema sicumera.
Se i mass media tendono a designare internet come il luogo deputato per
i mitomani, per i pedofili, per i falsari, gli studiosi si confrontano
invece sugli effetti per la vita sociale, per il progresso e la democrazia
che dalla grande rete possono derivare. Insomma, proseguono le dispute che
dai tempi di Demostene attirano le persone impegnate.
La ragnatela mondiale viene giudicata dal proprio particolare punto di
vista, spesso in conformità alle proprie esigenze commerciali: serve o
no?
Pare di sì. A Bologna gli utenti della rete, fra privati e imprese,
sembrano superare le otto mila unità: finora questi cittadini fortunati
hanno potuto usufruire dei collegamenti di posta elettronica, delle
connessioni alla rete e ai gruppi di discussione in maniera del tutto
gratuita; il servizio continuerà e verrà potenziato, ma la novità del
1998 è che esso sarà a pagamento. E' il crollo di un'illusione?
Miti che
finiscono
Beh, tutti i servizi si pagano; non si vede
perché non si dovrebbero pagare quelli forniti attraverso internet. E'
vero che i cittadini bolognesi possono comunque consolarsi col fatto di
essere stati per un buon periodo degli sperimentatori, degli anticipatori,
degli esempi, anche se… hanno attirato polemiche da parte di fornitori
di accesso e di altri enti pubblici e di cittadini meno privilegiati.
Ma attraverso internet per tutti, si erano alimentate anche altre
illusioni, quelle delle discussioni meno veniali cui mi riferivo
all'inizio.
Internet voleva dire informatica distribuita; nuova cultura; strumenti
di partecipazione offerti a chiunque, in una specie di nuova agorà
telematica più democratica, perché meno selettiva, della stessa agorà
ateniese.
Così, vent'anni dopo dalla dimostrazione effettuata dal gruppo di
Vinton Cerf sul protocollo TCP/IP ancora oggi utilizzato, e nel momento in
cui internet satellitare comincia ad essere una prospettiva autentica, ci
si può ben chiedere, anche ai livelli di comuni utenti: ma è tutto vero
o mi sono perso qualche cosa, fra link, connessioni, "404 not found"
e TUT? Gli "avvisi ai naviganti" devono essere salvati e
conservati in un'apposita cartella a futura memoria, o si possono
eliminare dopo averli letti? E Pinocchio, si aggira davvero per la rete,
ansimando sempre più nella sua fuga più ravvicinata dai gendarmi?
A chi
serve Internet
Il riferimento ad autori italiani come Berretti e
Zambardino e soprattutto a Carlini è doveroso, e l'entusiasmo di alcuni
ingenui è senz'altro fuori luogo. Già luoghi comuni relativi al fatto
che internet renda ricchi e famosi, o che internet faciliti il
raggiungimento della felicità erano stati messi fortemente in crisi da
osservatori attenti come quelli citati. Ma poteva sembrare un dibattito
per addetti ai lavori, comprensibile solo in parte ai navigatori della
domenica.
Ora, su un giornale americano, "Los Angeles Times", il prof.
Gary Chapman, Direttore del 21st Century Project all'Università di Austin,
nel Texas, si pone il quesito dando risposte molto sintetiche ma
abbastanza perentorie.
Vale la pena di ripercorrerne alcune argomentazioni, tenendo conto che
l'andare verso la globalizzazione complica ulteriormente le cose. Il
nostro è ancora un mondo troppo discontinuo nelle sue manifestazioni, per
poter dare dei giudizi di merito univoci. Resta sempre vero che la
tecnologia non è poi così facile, che l'uso del computer non è
intuitivo come si vorrebbe far credere, che i costi per fornirsi
dell'attrezzatura non sono sostenibili comunque da tutti. Se è vero che
con 200 lire posso inviare un'e-mail in Australia e ottenerne persino la
risposta, resta vero che l'apparato di sistema necessario per questa
operazione tra hardware, software e connessioni varie può superare
qualche milione di lire, anche se i costi scenderanno.
Comunque sia, in un paese fra i più avanzati come l'Italia, la
tecnologia dei computer e di internet in particolare è diffusa solo fra
una piccola minoranza. Lo sforzo di alcuni enti locali - si veda il caso
bolognese di Iperbole citato - di renderla più raggiungibile va
riconosciuto e imitato, ma siamo ancora ai primordi. Peraltro, l'Italia
sarebbe in buona compagnia: secondo Nicholas Negroponte, lo scienziato -
divo del MIT (Massachussetts Institute of Tecnology) in una conferenza a
Bruxelles ha detto che internet contribuirà alla pace mondiale attraverso
la rottura delle barriere nazionali. E ha soggiunto che Francia e Germania
sono allo stesso livello dei paesi del Terzo Mondo, a causa dello scarso
entusiasmo dimostrato dai paesi europei per le innovazioni tecnologiche.
In realtà l'ottimismo dell'autore di "Essere digitali" non
può essere condiviso acriticamente; se 50 milioni di americani sono già
in linea, la metà degli abitanti del globo non ha mai effettuato una
telefonata. Inoltre anche l'80% degli americani, se non sono in linea
avranno una loro giustificazione. Gary Chapman osserva che le percentuale
corrisponde a coloro i quali non hanno potuto permettersi un'istruzione
superiore e aggiunge che parecchi navigano per istruzione o per lavoro, e
conteggia inoltre una diecina di milioni di ex naviganti, che mai più si
accosteranno alla rete. Chapman ci presenta il conto, alla fine: 25
milioni di persone seguono ogni puntata di "Friends" e "Baywatch"
in tutto il mondo è stato seguito da oltre 1 miliardo e mezzo di
spettatori. Non sappiamo se il confronto sia dovuto anche alla
considerazione delle migliaia di siti dedicati a Pamela Lee Anderson
presenti in internet…
Fatte le debite proporzioni, gli stessi parametri, successi della tv
inclusi, si adatterebbero anche per l'Italia. Quindi, essere in linea non
è da tutti, almeno per ora. Con prudenza, in quanto l'affermarsi di una
tecnologia, inizialmente pone più problemi di quanti non ne risolva.
E a chi serve
Baywatch
Ma - si pensava - internet offre la possibilità
per ciascuno di portare le proprie opinioni a conoscenza di quanta più
gente possibile, senza costi e senza censure. Vero, ma solo in parte.
Esprimersi su internet in forma privata è senz'altro agevole, e di fatti
sulle pagine elettroniche possono correre le idee più strampalate o più
sagge, con la stessa franchezza che si può usare in una conversazione
telefonica. Ma quanto incidono, poi queste opinioni? Quanti le leggono,
prima ancora? Chi vuole farsi ascoltare, sperimenta che internet va bene
per chi è già interessato o sensibile ad un tema o a un problema, ma gli
stessi giornali in linea hanno dovuto fare i conti con un dato di fatto:
il pubblico: più che alle lunghe argomentazioni è desideroso di sintesi
stringate delle ultime notizie.
Ecco allora che l'opinionista famoso, il giornalista professionista
capace, in cerca di un uditorio più ampio non si rivolge certo ad
internet. In America si hanno esperienze di giornali elettronici, che per
garantirsi un ascolto più vasto hanno accostato all'edizione on-line
anche l'edizione cartacea. Con questo crollerebbe anche un'altra
speranza-illusione, quella che internet avrebbe dato lavoro a tanti
giovani, e qualcuno dei lettori infatti potrà dire: eccoci qua. Ma si
tratta pur sempre di numeri relativamente piccoli, di fronte alle
occupazioni tradizionali sparite, per esempio con l'editoria elettronica.
Anche il disegnatore, il creativo, seppure avrà la possibilità di
esercitare su internet, potrà contare su compensi più adeguati in
professioni tradizionali, ad esempio, nella moda, negli sceneggiati
televisivi, o nella stessa progettazione dei videogiochi.
Rischi
della "sovraesposizione"
Internet, apparentemente libera e addirittura
anarchica potrebbe sembrare il luogo ideale per esprimere liberamente ogni
credo, ogni idea, ogni orientamento. "In internet nessuno sa che tu
sei un cane". Questo non si può negare; in rete si possono leggere
opinioni di ogni genere e si possono sperimentare esagerazioni in ciascun
settore. Ma in un consolidato consumismo come il nostro, a prevalere
complessivamente, è l'atteggiamento di una saggezza convenzionale, che fa
da sottofondo alle esigenze dei pubblicitari e dei padroni dei mezzi di
comunicazione di massa. Ciò anche a causa della cosiddetta
"sovraesposizione" alle informazioni cui si è soggetti nella
rete, come in tutti i mass media.
Il potere centrale, con l'avvento di internet, dovrà cedere parte
delle sue prerogative di fronte alle esigenze di gruppi e dei singoli
cittadini, che potranno far così valere le proprie esigenze e soprattutto
affermeranno i propri diritti. Ancora illusione: i governi e chi gestisce
gli strumenti tecnologici vanno a prendere il caffè insieme, non è
credibile che i governanti non si adoperino per appianare la strada per
gli affari di questi gruppi, attraverso, per esempio, il mantenimento
della situazione e il consolidamento delle posizioni da essi conquistate.
Ma se molti sono consapevoli di tali illusioni e si rendono conto della
loro vacuità, per molti internet resta la terra promessa, anche a
settecento giorni dal Duemila. Ma sono pochi e hanno perso il contatto con
la realtà. Succede un fatto; e qui l'osservazione di Gary Chapman è
particolarmente tagliente: sta crescendo l'isolamento tra l'elite delle
persone che lavorano o vivono in rete, e il resto del mondo. Come può, si
chiede Chapman, chi passa da quattro a sei ore il giorno su internet,
immaginare cosa possano fare nel frattempo tutti gli altri?
Insomma, andiamo pure in internet, ma per vedere che tempo fa,
affacciamoci dalla finestra, invece di chiederlo alla rete.


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